italian
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Se l'ira si aggiunge alla malvagità, essi ci verranno dietro più crudeli del cane contro la lepre che vuole azzannare" | Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa, ei ne verranno dietro più crudeli che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’ |
E nel mio petto non si era ancora estinto l'ardore del sacrificio, quando mi accorsi che quella preghiera era stata bene accetta | E non er’anco del mio petto essausto l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi esso litare stato accetto e fausto |
Sotto ogni faccia uscivano due grandi ali, proporzionate a un essere tanto grande: non ho mai visto vele di navi così estese | Sotto ciascuna uscivan due grand’ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid’io mai cotali |
se tu non vieni ad accrescere la punizione per Montaperti, perché sei qui a tormentarmi | se tu non vieni a crescer la vendetta di Montaperti, perché mi moleste |
Ormai è tempo di allontanarsi dal bosco | Omai è tempo da scostarsi dal bosco |
Chi, non sapendo come ciò avvenga, potrebbe credere che il profumo di un frutto e dell'acqua riduca in tale stato, generando fame e sete | Chi crederebbe che l’odor d’un pomo sì governasse, generando brama, e quel d’un’acqua, non sappiendo como |
Tutti dicevano: 'Benedetto tu che vieni' | Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis’ |
non chiedetemi di portarvi giù tra quelle anime | tra color non vogliate ch’io vi guidi |
Ma questa mia sonnolenza fu interrotta improvvisamente da delle anime che correvano dietro le nostre spalle | Ma questa sonnolenza mi fu tolta subitamente da gente che dopo le nostre spalle a noi era già volta |
così le parole misere si convertivano nel linguaggio del fuoco, perché all'inizio non trovavano una strada per uscire | così, per non aver via né forame dal principio nel foco, in suo linguaggio si convertian le parole grame |
Così avendo paura dell'influsso passionale di venere non volli nessun'altra difesa che quella costituita dall'alloro, pianta sacra al cielo. | Tal che temendo de l' ardente lume non volsi al mio refugio ombra di poggi, ma de la pianta piú gradita in cielo. |
E il maestro mi disse: | E ’l duca disse a me: |
Come Alessandro Magno nelle calde regioni dell'India vide cadere intatte sino a terra delle fiamme sulle sue truppe, per cui diede ordine ai soldati di scalpicciare il suolo in quanto il vapore si estingueva meglio prima di propagarsi:Così scendevano quelle fiamme eterne | Quali Alessandro in quelle parti calde d’India vide sopra ’l suo stuolo fiamme cadere infino a terra salde, per ch’ei provide a scalpitar lo suolo con le sue schiere, acciò che lo vapore mei si stingueva mentre ch’era solo: tale scendeva l’etternale ardore |
il quale, se anche incontra difficoltà nelle prime battaglie con gli influssi astrali, poi vince ogni cosa, purché venga ben nutrito | che, se fatica ne le prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si notrica |
O voi che siete in due dentro una sola fiamma, se ho acquisito meriti nei vostri confronti quand'ero vivo, se ho acquisito meriti grandi o piccoli presso di voi quando, sulla Terra, scrissi gli alti versi, non andate via | O voi che siete due dentro ad un foco, s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, s’io meritai di voi assai o poco quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete |
allora l'ombra sorrise e si tirò in disparte, e io seguendola mi spinsi un po' lontano | per che l’ombra sorrise e si ritrasse, e io, seguendo lei, oltre mi pinsi |
infatti, tutte quelle luci splendenti, diventando più luminose, iniziarono dei canti destinati a scomparire dalla mia memoria | però che tutte quelle vive luci, vie più lucendo, cominciaron canti da mia memoria labili e caduci |
sai se tra gli altri dannati sotto la pece ci siano degli italiani | de li altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece |
Da quel cerchio che io notai come più prezioso, vidi uscire una luce tanto gioiosa che non vi lasciò dentro nessun'altra più splendente | Di quella ch’io notai di più carezza vid’io uscire un foco sì felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza |
allora io lasciai cadere il ramo spezzato e restai lì pieno di timore | ond’io lasciai la cima cadere, e stetti come l’uom che teme |
Più all'esterno ce n'era un settimo, talmente esteso che il messaggero di Giunone, benché tutto intero, sarebbe troppo piccolo per contenerlo | Sopra seguiva il settimo sì sparto già di larghezza, che ‘l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto |
La quinta luce, che è la più bella fra noi, spira di un tale amore che tutto il mondo desidera conoscere il suo destino:dentro vi è l'alta mente dove fu infuso un sapere così profondo, che, se le Scritture dicono il vero, non ci fu un uomo più saggio di lui | La quinta luce, ch’è tra noi più bella, spira di tal amor, che tutto ‘l mondo là giù ne gola di saper novella: entro v’è l’alta mente u’ sì profondo saver fu messo, che, se ‘l vero è vero a veder tanto non surse il secondo |
bada al modo in cui entri e a chi ti stai affidando | guarda com’entri e di cui tu ti fide |
Ci sarebbe da stupirsi se tu, privo di impedimenti, fossi rimasto a terra, proprio come un fuoco che rimanesse quieto e non salisse verso l'alto | Maraviglia sarebbe in te se, privo d’impedimento, giù ti fossi assiso, com’a terra quiete in foco vivo |
Figlio mio | Figliuol mio |
ma io scoppio se non riesco a liberarmi di un dubbio che mi assilla | ma io scoppio dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego |
Alzati in piedi: la via è lunga e il cammino è malagevole, e il sole è già a metà della terza ora | Lèvati sù in piede: la via è lunga e ’l cammino è malvagio, e già il sole a mezza terza riede |
Io fui figlio di un macellaio di Parigi: quando i re antichi scomparvero tutti, tranne uno che indossò la tonaca di monaco, io mi trovai stretto in mano il governo del regno, ed ebbi un tale potere per il nuovo acquisto e fui così pieno di amici, che la corona rimasta vacante fu destinata alla testa di mio figlio, da cui ha avuto inizio la dinastia dei Capetingi | Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi: quando li regi antichi venner meno tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, trova’mi stretto nele mani il freno del governo del regno, e tanta possa di nuovo acquisto,e sì d’amici pieno, ch’a la corona vedova promossa la testa di mio figlio fu, dal quale cominciar di costor le sacrate ossa |
esso stringe e rende coesa la terra | questi la terra in sé stringe e aduna |
Si è mai visto un popolo sciocco e frivolo come quello senese | Or fu già mai gente sì vana come la sanese |
infatti, a seconda dello sguardo con cui la fede guardò a Cristo, queste donne formano una linea divisoria che separa le sacre scalinate | perché, secondo lo sguardo che fée la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee |
volendo in realtà dire 'noi' e 'nostro' | quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’ |
Rimpiango ora il mio tempo passato, che ho sciupato amando una cosa mortale senza mai levarmi in volo, pur avendo le ali per innalzarmi a cose più degne e lasciare di me un esempio non vile. | I' vo piangendo i miei passati tempi i quai posi in amar cosa mortale, senza levarmi a volo, abbiend' io l' ale, per dar forse di me non bassi essempi. |
Vivo con queste paure e perennemente in conflitto con me stesso, tanto da non riuscire a riconoscermi più: come chi nel percorrere una strada incerta avanza con timore e compie errori. | In tal paura e 'n sí perpetua guerra vivo, ch' i' non so piú quel che già fui: qual chi per via dubbiosa teme ed erra. |
una dolce melodia si diffondeva nell'aria luminosa | E una melodia dolce correva per l’aere luminoso |
L'angelo che venne in Terra col decreto della pace sospirata per tanti anni, e che aprì il Cielo dopo un lungo divieto, sembrava così reale davanti a noi, scolpito in un gesto soave, che non sembrava un'immagine silenziosa | L’angel che venne in terra col decreto de la molt’anni lagrimata pace, ch’aperse il ciel del suo lungo divieto, dinanzi a noi pareva sì verace quivi intagliato in un atto soave, che non sembiava imagine che tace |
Vi risponderò in breve | Brievemente sarà risposto a voi |
Quando il movimento rotatorio dei Cieli, che tu rendi eterno col desiderio delle ruote celesti di avvicinarsi a te, attirò la mia attenzione con l'armonia che tu regoli e stabilisci, il cielo mi sembrò a tal punto acceso dalla luce del sole che la pioggia o un fiume non crearono mai un lago tanto ampio | Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso con l’armonia che temperi e discerni,parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso |
ecco perché Romolo discende da un padre tanto umile che lo si attribuisce a Marte | e vien Quirino da sì vil padre, che si rende a Marte |
Fratello, il tuo alto desiderio verrà esaudito nell'ultimo Cielo, dove si adempiono tutti i desideri, incluso il mio | Frate, il tuo alto disio s’adempierà in su l’ultima spera, ove s’adempion tutti li altri e ‘l mio |
perché era raffigurata anche colei che girò la chiave per aprire l'alto amore di Dio | perché iv’era imaginata quella ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave |
poiché quella croce faceva lampeggiare Cristo in modo tale che io non so trovare un esempio degno per descriverla | ché quella croce lampeggiava Cristo, sì ch’io non so trovare essempro degno |
anzi, ne sorrise, al punto che lo splendore dei suoi occhi gioiosi indusse la mia mente a dividersi tra più cose | ma sì se ne rise, che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in più cose divise |
Come può essere che un bene, distribuito fra più possessori, renda quelli più ricchi di sé che se fosse goduto da pochi | Com’esser puote ch’un ben, distributo in più posseditor, faccia più ricchi di sé, che se da pochi è posseduto |
"Cosa fatta capo ha", che causò tanto male alla gente di Toscana | "Capo ha cosa fatta", che fu mal seme per la gente tosca |
chi passa la sua vita senza di essa, lascia sulla Terra una traccia di sé paragonabile al fumo nell'aria e alla schiuma nell'acqua | sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, qual fummo in aere e in acqua la schiuma |
O toscano, che te ne vai per la città del fuoco parlando in modo così dignitoso, abbi la compiacenza di trattenerti | O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco |
e si toglievano la scabbia con le unghie come un coltello toglie le squame della scardova, o di un altro pesce che le abbia più larghe | e sì traevan giù l’unghie la scabbia, come coltel di scardova le scaglie o d’altro pesce che più larghe l’abbia |
lui a me: | Ed elli a me: |
Oh, autentico sfolgorio dello Spirito Santo | Oh vero sfavillar del Santo Spiro |
O anima che ti purifichi, per tornare bella a Colui che ti creò, se mi segui sentirai qualcosa di straordinario | O creatura che ti mondi per tornar bella a colui che ti fece, maraviglia udirai, se mi secondi |
opo che le felicitazioni furono ripetute varie volte, Sordello si tirò indietro e disse: | Poscia che l’accoglienze oneste e liete furo iterate tre e quattro volte, Sordel si trasse, e disse: |
Dico che quando l'anima dannata si presenta davanti a lui, rende piena confessione | Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa |
O fratello, costui che ti indico col dito | O frate, questi ch’io ti cerno col dito |
ma la volontà non è in grado di fare tutto | ma non può tutto la virtù che vuole |
Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio portarono questi due al passo doloroso | Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo |
Ecco l'angelo di Dio: unisci le mani | Ecco l’angel di Dio: piega le mani |
Così una voce misteriosa parlava tra i rami | Sì tra le frasche non so chi diceva |
e lei, così lontana come appariva, sorrise e mi guardò, poi tornò all'eterna fonte di beatitudine | e quella, sì lontana come parea, sorrise e riguardommi, poi si tornò a l’etterna fontana |
Chi il mirto? | Qual di mirto? |
ma qui non posso tacere | ma qui tacer nol posso |
e la miseria dell'avaro re Mida, che fu la conseguenza della sua richiesta avida e per la quale bisogna sempre sorridere | e la miseria de l’avar oMida, che seguì a la sua dimanda gorda, per la qual sempre convien che si rida |
Una era al centro ed era rossa | L’una dinanzi, e quella era vermiglia |
allora lo riconobbi e lo pregai di fermarsi un poco a parlarmi | allor conobbi chi era, e pregai che, per parlarmi, un poco s’arrestasse |
Quando io sentii quelle anime offese, chinai lo sguardo e lo tenni basso così a lungo che alla fine Virgilio mi disse: | Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: |
e mi è gradito che tu dica ciò che la speranza ti promette | ed emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti ‘mpromette |
L'essere in piedi ritirò il muso verso le tempie, e della materia in sovrappiù uscirono due orecchie sulle gote che non le avevano | Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie, e di troppa matera ch’in là venne uscir li orecchi de le gote scempie |
perciò continua a camminare e ascolta mentre procedi | però pur va, e in andando ascolta |
come diventò d'improvviso incandescente ai miei occhi che, vinti, non poterono sostenere lo sguardo | come si fece sùbito e candente a li occhi miei che, vinti, nol soffriro |
così io vidi quella gloriosa corona di spiriti muoversi e cantare con un'armonia e una melodia così dolce che non la si può capire, se non in Paradiso dove la gioia diventa eterna | così vid’io la gloriosa rota muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch’esser non pò nota se non colà dove gioir s’insempra |
non vedi la morte che combatte sul gorgo tempestoso del peccato | non vedi tu la morte che ’l combatte su la fiumana ove ’l mar non ha vanto |
Ma digli chi fosti in vita, così che per rimediare lui possa restaurare la tua fama nel mondo terreno, dove può tornare | Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece |
avrei voluto dire a lui 'Abbracciami forte', ma la voce non venne fuori come credevo | sì volli dir, ma la voce non venne com’io credetti: ’Fa che tu m’abbracce’ |
e se qualcuno volesse chiedere 'Come | e se volesse alcun dir ‘Come |
Qui la terra trema quando un'anima si sente purificata, cosicché si alza o si muove per salire in alto | Tremaci quando alcuna anima monda sentesi, sì che surga o che si mova per salir sù |
O Marco mio, tu hai ragione | O Marco mio, bene argomenti |
questi due siano sani e salvi fino all'altro ponte che, intatto, dà accesso alla prossima Bolgia | costor sian salvi infino a l’altro scheggio che tutto intero va sovra le tane |
cercano di proteggersi l'un l'altro coi fianchi | de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo |
O regina, perché a causa della tua ira hai voluto distruggerti | O regina, perché per ira hai voluto esser nulla |
Gentucca | Gentucca |
e ho visto una nave procedere rapida e veloce lungo la sua rotta, per poi affondare all'entrata nel porto | e legno vidi già dritto e veloce correr lo mar per tutto suo cammino, perire al fine a l’intrar de la foce |
Lo devi sapere, se arrivi qui solo adesso: egli è ser Branca Doria, e sono molti anni da quando è finito in questo luogo | Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso: elli è ser Branca Doria, e son più anni poscia passati ch’el fu sì racchiuso |
così starebbe un cane tra due daini:per cui, se io tacevo, non biasimo né lodo me stesso, poiché ciò era inevitabile visto che ero spinto dai miei dubbi allo stesso modo | sì si starebbe un cane intra due dame: per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo, da li miei dubbi d’un modo sospinto, poi ch’era necessario, né commendo |
Madonna, tutto quello che valgo dipende da voi. | Madonna, da voi tegno ed ho 'l valore. |
Se la materia fosse la migliore possibile e il Cielo esercitasse la sua virtù al massimo grado, allora la luce divina apparirebbe in modo perfetto | Se fosse a punto la cera dedutta e fosse il cielo in sua virtù supprema, la luce del suggel parrebbe tutta |
Io lascio a lui le altre due domande, che non gli sono state poste per conoscere, ma affinché egli riferisca al mondo quanto questa virtù ti aggrada: esse infatti non saranno difficili per lui, né gli daranno occasione di vantarsi | Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch’ei rapporti quanto questa virtù t’è in piacere, a lui lasc’io, ché non li saran forti né di iattanza |
O Vergine Madre, figlia del tuo stesso Figlio, la più umile e la più alta di tutte le creature, termine fisso della sapienza divina, tu sei quella che ha nobilitato la natura umana a tal punto che il suo Creatore non disdegnò di diventare sua creatura | Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura |
ma non dissi altro, perché il mio sguardo fu attirato da un dannato, crocifisso a terra e legato a tre pali | ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse un, crucifisso in terra con tre pali |
e se sollevi lo sguardo, nel terzo gradino della rosa a partire dall'alto, la vedrai nel seggio che i suoi meriti le hanno concesso | e se riguardi sù nel terzo giro dal sommo grado, tu la rivedrai nel trono che suoi merti le sortiro |
Seguimi e lascia che la gente parli: sta' come una torre salda, che non ondeggia mai la sua cima per quanto i venti soffino | Vien dietro a me, e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti |
Io dissi: | Diss’io: |
e il profeta Daniele disprezzò il cibo e guadagnò la sapienza | e Daniello dispregiò cibo e acquistò savere |
Forse qualcuno è stato sfigurato in tal modo da una paralisi | Forse per forza già di parlasia si travolse così alcun del tutto |
La bontà divina, che disprezza ogni odio, ardendo in se stessa splende in modo tale che emana le bellezze eterne | La divina bontà, che da sé sperne ogne livore, ardendo in sé, sfavilla sì che dispiega le bellezze etterne |
Venivano verso di noi e ognuna gridava: | Venian ver noi, e ciascuna gridava: |
Ora sappi che lì dentro gode la pace Raab | Or sappi che là entro si tranquilla Raab |
O tu che non sei dannato da alcuna colpa e che io conobbi in Italia, se un'eccessiva somiglianza non mi inganna, ricordati di Pier da Medicina, se mai tornerai a vedere la dolce pianura che digrada da Vercelli a Marcabò | O tu cui colpa non condanna e cu’ io vidi su in terra latina, se troppa simiglianza non m’inganna, rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina |
e se tu consideri il principio di ognuno di questi santi e poi osservi come si è evoluta la situazione, vedrai che il bianco è diventato scuro | e se guardi ’l principio di ciascuno, poscia riguardi là dov’è trascorso, tu vederai del bianco fatto bruno |
Giungemmo poi sul lido deserto, che non vide mai navigare nessuno che poi fosse in grado di tornare indietro | Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque omo, che di tornar sia poscia esperto |
Mentre procedevamo in quel modo lungo l'orlo della Cornice uno dietro l'altro, e spesso Virgilio mi diceva: | Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro, ce n’andavamo, e spesso il buon maestro diceami: |
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ita2medieval
The ita2medieval dataset contains sentences from medieval italian along with paraphrases in contemporary italian (approximately 6.5k pairs in total). The medieval italian sentences are extracted from texts by Dante, Petrarca, Guinizelli and Cavalcanti.
It is intended to perform text-style-transfer from contemporary to medieval italian and vice-versa.
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from datasets import load_dataset
dataset = load_dataset("leobertolazzi/ita2medieval")
Note: due to the small size of the dataset there are no predefined train and test splits.
Dataset creation
ita2medieval was created by scraping letteritaliana.weebly.com.
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